lunedì 18 aprile 2016

the race

" The race " è il film su James Owens atleta di colore che  conquista le olimpiadi del 1936 di Berlino, vincendo 4 medaglie .
Il film parla del razzismo, quello americano nei confronti dei Neri e quello tedesco nei confronti degli ebrei, razzismo che viene polverizzato sulla pista da corsa da  Ownes, che correndo più contro il pregiudizio che per i record, vince su tutti diventando una vera leggenda.
Le olimpiadi del 1936 rappresentavano un solenne messaggio di propaganda elettorale per i nazisti che volevano rivendicare la superiorità della razza ariana in tutto il mondo, ma subirono un grave smacco dalla vittoria di un atleta di colore di ben 4 medaglie, ma anche in America, che discriminava i neri, privandoli dei più semplici diritti fondamentali, la vittoria di ownes ha rappresentato un riscatto, la vittoria non solo di un record olimpico con 4 medaglie, ma la vittoria di un nero su un bianco.
Il film è ambientato qualche anno prima della seconda guerra mondiale, con un Italia fascista, una Germania razzista, e un America decisamente razzista in cui il riscatto sociale poteva essere offerto solo nello sport ma mi sono chiesta siamo sicuri che sia radicalmente diversa la posizione di oggi?
Certo non ci sono più i regimi ma ancora le occasioni reali di riscatto sociale per uomini di colore o di condizioni sociali povere e disagiate sono offerte dallo sport, pensiamo ai circuiti di calcio che vanno a reclutare giovani campioni nelle favelas, lo sport come unico mezzo di riscatto, contro la povertà e il razzismo.
Ma in una società evoluta e riformista non è un po' poco?! Anche perché di reali campioni ne esistono veramente pochi, gli altri, la maggioranza sono ancora relegati in campi profughi, simili a lager, cittadini non graditi che non hanno ancora diritto né di cittadinanza ne' di asilo, questa è l'attuale Europa democratica e l'America connivente in quanto silente !

mercoledì 13 aprile 2016

Doina Matei il reato di sorridere

Penso di essere una di quei pochi italiani che non si è scandalizzata per la foto di Doina Matei al mare, ma per il provvedimento restrittivo del giudice che le ha tolto la semi libertà  vigilata a causa di quella foto.
Doina è l'assassina condannata a 16 anni di reclusione, di cui otto già trascorsi in carcere di Veronica Russo, aveva 21 anni quando ha commesso l'omicidio ed era già madre di due figli che ora sente da dentro il carcere una volta alla settimana al telefono per dieci minuti.
Doina aveva trovato un lavoro, era un caso di riinserimento in società, ed era un esempio di pena rieducativa che come dovrebbe essere ogni condanna, rende il condannato migliore e non avvezzo a ripetere il reato .
Credo che un Giustizialismo  e lo sdegno mediatico per una foto sorridente su FB non siano sufficienti a revocare la semi libertà vigilata, il giudice è stato chiaramente influenzato dallo sdegno mediatico per un innocente foto, per un comportamento socialmente comune, sono migliaia le foto pubblicate su FB, che non offende nessuno, allora se crediamo che una foto sia un comportamento inconciliabile con la semi libertà vigilata precisiamo nella sentenza di condanna, giusta solo quando equa, il divieto per il condannato di continuare a sorridere, il divieto di avere amici, il divieto di avere una vita sociale, in una parola condanniamolo direttamente a morte perché tanto il risultato è lo stesso, si chiede di pagare la perdita di una vita con un altra vita, la vita sociale, la vita che dopo aver scontato una giusta pena, tutti hanno il diritto di avere .
Una foto sorridente non è un comportamento socialmente pericoloso perché è facile essere buoni, difficile è essere giusti, e ritengo che dove ci sono troppi poliziotti non c’è libertà, dove ci sono troppi soldati non c’è pace, dove ci sono troppi avvocati e moralisti non c’è giustizia.

sabato 9 aprile 2016

Sanghuenapoli

Sanghenapule e' uno spettacolo teatrale sulla storia della vita di San Gennaro, quindi sulla storia di Napoli, sull'amore per Napoli che è una città che non si vive ma si attraversa nelle viscere e sotto la pelle, che ti coinvolge rendendoti spesso vittima inconsapevole delle sue regole e dinamiche schiaccianti e inumane.
Ecco perché i napoletani e i migranti si votano ad un santo protettore, San Gennaro appunto, dalle dinamiche a tratti laiche e pagane ai limiti del sacro e profano, un santo a cui puoi chiedere tutto, e che perdona tutto, puoi perfino offenderlo, lui capisce, un santo che risponde ai bisogni più primitivi della coscienza umana che a volte vanno aldilà della morale del buon senso comune.
Un fantastico Mimmo Borrelli e un superlativo Roberto Saviano sono i protagonisti dell'opera, magistrali interpreti e stupendi esponenti di quella Napoli che non puoi capire fino in fondo se non hai vissuto sulla pelle, se non ti ha attraversato nelle sue contraddizioni estreme che ti hanno reso spesso vittima della città, che ti hanno spesso portato a lasciarla a partire con la disperazione di un innamorato che lascia un amore a volte non corrisposto . Solo un santo, San Gennaro appunto, quindi solo una divinità ultraterrenea, ma estremamente pagana, può aiutare i napoletani e i migranti a superare le controversie di Napoli e della vita in genere perché ha quella misericordia superiore di una divinità suprema ma allo stesso tempo quella umanità comune che è capace di perdonare ogni cosa e a cui puoi chiedere ogni cosa.
Mi sono innamorata di questo santo e di questo fantastico spettacolo teatrale che va ascoltato di pancia.
Nel  monologo finale di Mimmo, sudavo con lui, avevo l'ansia, sentivo il fuoco del Vesuvio che brucia senza pietà, un'esperienza mistica, un interpretazione pulp che ti lascia senza fiato, che a volte non capisci per il dialetto stretto, ma ci rinunci la ami e prescindere, proprio come succede per Napoli, non la capisci, non la condividi ma la ami a prescindere.
Penso che la forza di questa opera teatrale che unisce i due interpreti sia proprio questa, l'amore per Napoli che spesso per Roberto Saviano è stata feroce matrigna, ma che con questa opera lo riappacifica con la città, gli dà un po' di tregua, è una dichiarazione di resa con cui rivendica i suoi natali e il suo amore incondizionato che da migrante suo malgrado lo ha portato lontano da Napoli ma non gli ha fatto mai dimenticare il suo sapore dolce e amaro che spesso ha bisogno di un santo protettore per essere digerito .
Tranquilli, da verace sarda, testimonio che non bisogna essere napoletani per amare l'opera, inoltre Milano la sta ospitando con grande successo, bisogna però credere nei miracoli, quelli in bilico tra il sacro e profano, tra il giusto e il sbagliato, tra il legale e l'illegale, che ci portiamo un po' tutti nel cuore ma che spesso non abbiamo il coraggio di chiedere, bisogna credere nel miracolo di San Gennaro ! Mimmo e Roberto a me hanno convinto ..... San Gennaro ha una nuova devota !